Filosofia Greca: Prima Filosofia Occidentale

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I primi filosofi dell’antica Grecia si dedicavano esclusivamente ai loro pensieri e alle loro idee, cercando di contemplare il mondo con il loro intelletto. Sicuramente la loro professione di filo-sofi (“amanti della sapienza”) li faceva spesso apparire come personaggi particolari: è per esempio il caso di Socrate, che Aristofane, Senofronte e Platone concordano nel presentarci come non bello di aspetto, sempre attento a osservare gli Ateniesi, facendo a loro un sacco di domande.

Comunque tutte le scuole filosofiche avevano studenti di ogni tipologia sociale e ebbero un ruolo chiave nello sviluppo della cultura del tempo. Alcuni dei primi filosofi furono estremamente solitari, suscitando ammirazione o disprezzo. Nelle Vite dei Filosofi Diogene Laerzio riferisce riprendendo una tradizione risalente a Erotodo,  egli racconta che Pitagora di Samo si rinchiuse in una grotta e che quando uscì gridando di essere uscito dall’inferno, la gente vide in lui qualcosa di divino. Un altro racconto di Diogene Laerzio cita di quando Empedocle si gettò nell’Etna, per far credere di essere diventato un dio: le fiamme lanciarono in aria uno dei suoi sandali, provocando la ilarità degli spettatori per lo spettacolo grottesco della scena.

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Giudicando queste scene si porebbe pensare che i filosofi greci preferissero vivere ritirati dal mondo. Alcuni dato storici parrebberlo confermarlo: Platone ad esempio, aprì l’Accademia in un bosco di olivi sacri vicino ad Atene, al quale si giungeva per un cammino ombreggiato. Vicino all’Accademia si trovava la scuola di Epicuro, il Giardini, un piccolo prato irrigato dal fiume Eridano. Il Liceo la scuola fondata da Aristotele, era situato nei dintorni di Atene, attorniato da celebre portico dove il filosofo e i suoi discepoli passeggiavano durante le loro lunghe discussioni che valse loro l’appellativo di Paripatetici. Certamente non vivevano di agi, si sa di sicuro che Diogene Laerzio di prima di essere filosofo, per guadagnarsi da vivere, faceva il pugile; quando arrivò ad Atene lavorava come portatore d’acqua.

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Socrate era figlio di cavapietre e di una levatrice ateniesi: stando al Teeteto di Platone, egli paragonava la sua pratica filosofica alla maieutica, l’arte delle ostetriche; inoltre non aveva difficoltà di ammettere alla sua scuola gente di umile condizione come Eschine, figlio di una famiglia di salumieri. In gioventù faceva parte della milizia e aveva lavorato come scultore, creando opere che furono esposte nell’Acropoli. Socrate era solito partecipare alle assemblee cittadine non disdegnando di esprimere il proprio parere. Fu un personaggio scomodo a tal punto che, nel 399 a.C, venne accusato di corruzione dei giovani, giudicato colpevole fu rinchiuso in carcere per poi essere condannato a morte.

Nel IV secolo a.C. a causa dell’instabilità politica, Platone partì per la Sicilia, nel tentativo di far apprendere la filosofia il tiranno di Siracusa, Dionisio, e finì venduto da quest’ultimo come schiavo. Una volta liberato rientrò ad Atene, comprò la tenuta dove sorse l’Accademia e li proseguì la sua attività filosofica, formulando tra l’altro la famosa “teoria delle idee”: il mondo sensibilie, corruttibile e in divenire, è una copia di quello ideale, immateriale e immutabile, che si configura come la “realtà vera”.

I seguaci di Epicuro cercarono la tranquillità: un luogo dove il filosofo potesse godere dei piaceri semplici della quotidianità, osservando da distanza i fatti del mondo che li circonda. Chi meglio rappresenta il filosofo nella Grecia de IV secolo a.C. è Diogene di Sinope, il più provocatorio dei pensatori Greci. La sua vita fu costellata di sfide al buon costume di una società che presumeva rispettabile. Soprannominato “il Cinico” (dal greco Kyon, “cane”), passava le giornate in una botte, rivendicando la sua indipendenza dalla società: preferiva osservare in solitudine il correre di un animale che partecipare alla vita sociale. Il suo messaggio era preciso: se la sofferenza è una componente della vita umana, occorre comunque gioire per il semplice fatto di essere vivi. Platone non amava Diogene apostrofandolo come un “Socrate pazzo”.

Nella Grecia le donne avevano un ruolo marginale nella cultura e non potevano frequentare le scuole filosofiche. Alcuni filosofi come Diogene avrebbero esclamato vedendo delle donne impiccate ad un ulivo: “Ah, se simili frutti pendessero da tutti gli alberi!”. Altri filosofi invece si sposarono e formarono anche una famiglia, anche se le relazioni con le mogli non furono molto armoniose. Senofronte scrive nel Simposio, che Socrate soleva dire che, dopo aver sopportato il carattere della moglie Santippe, gli risultava più facile trattre con le altre persone.

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Leggendo i testamenti dei filosofi ci possiamo accostare alla loro vita quotidiana: oltre alle disposizioni circa il futuro delle loro scuole, si menzionano le tenute e gli schiavi che possedevano, il corredo domestico e le reliquie familiari che si trovavvano nelle loro case. I testamenti recano anche traccia dei loro debiti e i nomi dei loro debitori. Il più bello addio al mondo è di Epicuro, scritto nella lettera che egli invio all’amico Idomeneo:

“Era il giorno beato e ultimo della mia vita, quando ti scrivevo questa lettera. i dolori della vescica e delle viscere erano tali da non poter essere maggiori: eppure a tutte queste cose si opponeva la gioia dell’anima per i nostri passati discorsi filosofici”.

Questo ricordo dell’amicizia nonostante i dolori che aveva erano un elemento essenziale per raggiungere la felicità al pari della ricerca della verità.

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